_Alcune riflessioni sotto l’albero di Natale

Alcune riflessioni sotto l’albero di Natale: l’obbligo di c.d. repêchage.

di Paola Gobbi e Marilena Cartabia

 Negli ultimi giorni, la Cassazione si è pronunciata ben tre volte sul famigerato e tanto temuto obbligo di repêchage, con altrettante sentenze destinate a riaprire un dibattito mai sopito.

Con la prima sentenza (n. 32002/2018), depositata l’11 dicembre 2018, la Corte ha confermato la decisione del precedente grado ove si era riconosciuta al lavoratore, licenziato per motivo economico, solo la tutela indennitaria e non la reintegra, data la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore da licenziare tra quelli adibiti a mansioni omogenee e fungibili.

Secondo questa decisione della Cassazione, infatti, quando il licenziamento è intimato per motivo oggettivo, la tutela reintegratoria c.d. attenuata, prevista dall’Art. 18, comma 4 St. lav., può essere riconosciuta nelle sole ipotesi in cui l’insussistenza del fatto è connotata da particolare evidenza: la prova dell’effettiva chiusura delle sede di lavoro ove era adibito il lavoratore licenziato escludeva, quindi, la manifesta insussistenza delle ragioni economiche.

Senonché, il giorno successivo sono state depositate le motivazioni di un’altra sentenza (n. 32159/2018) dove però, tornando ad occuparsi di un licenziamento per motivo economico, la Cassazione ha “ribaltato” la decisione della Corte d’Appello di Milano e ritenuto che la violazione dell’obbligo di repêchage fosse da valutare ai fini dell’insussistenza manifesta del fatto posto alla base del licenziamento.

In poche parole, per la Cassazione tanto la sussistenza delle ragioni economiche indicate dal datore che l’impossibilità di un’utile ricollocazione del lavoratore in mansioni diverse costituiscono elementi “fondanti” il licenziamento per motivo oggettivo, la cui mancanza determina l’insussistenza del fatto posto a suo fondamento. Onde escludere la sanzione della reintegra, allora, non sarà più sufficiente che l’azienda dimostri esistenza delle ragioni produttive, ma servirà anche provare che la ricollocazione del lavoratore è eccessivamente onerosa.

Infine, sempre il 12 dicembre 2018, è stata depositata un’altra sentenza (n. 32158/2018) relativa ad un caso di licenziamento intimato ad un lavoratore divenuto inidoneo allo svolgimento delle mansioni da ultimo assegnate.

Anche in questo caso, la Cassazione ha ritenuto di dover riconoscere la tutela reintegratoria c.d. attenuata dell’Art. 18, comma 4 St. lav. perché il datore non aveva assolto l’obbligo di adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute. In questo caso, peraltro, la Corte ha ritenuto di dover applicare il regime della reintegra non solo per il tenore letterale dell’Art. 18, comma 4, primo paragrafo, ma anche in ragione della peculiare tutela riservata alla disabilità dal diritto dell’Unione Europea (Dir. 78/2000/CE).

Con un inciso importante: anche nel nuovo regime delle c.d. tutele crescenti (D.lgs. 23/2015) il legislatore ha previsto la sanzione della reintegra quando il licenziamento è intimato in difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica. Secondo la Cassazione, allora, anche il lavoratore, assunto dopo il 7 marzo 2015 e licenziato perché divenuto inabile alla mansione, potrà ottenere la reintegra se il datore non riuscirà a dimostrare di non averlo potuto adibire in altre mansioni libere e compatibili con il suo stato di salute.

Lette le ultime sentenze della Cassazione, d’ora in avanti, quando le aziende avranno la necessità di intimare il licenziamento per motivo oggettivo, prima di procedervi, dovranno considerare con attenzione la possibilità di ricollocare il dipendente in mansioni differenti, anche di livello inferiore, per evitare che nel successivo contenzioso sia ordinata la reintegra.