_Dati e trattamenti sanitari in azienda al tempo del Covid-19: cosa può fare il datore di lavoro iperscrupoloso

L’emergenza sanitaria Covid -19, il Protocollo sottoscritto dalle parti sociali il 14 Marzo 2020 ed ora il Protocollo siglato lo scorso 24 Aprile 2020 hanno fatto riemergere apparentemente vecchie – ma mai archiviate – questioni relative ai controlli sulla salute dei dipendenti.

Ma non solo: in un momento in cui si sente continuamente parlare delle preoccupazioni dei cittadini e degli esperti per il trattamento dei dati sanitari, delle “app” di controllo presentate dalle Regioni, è di fondamentale importanza determinare legittimità o meno del trattamento dei dati sulla salute dei lavoratori.

Rispetto ad un passato in cui la preoccupazione principale del lavoratore e del legislatore dello Statuto dei Lavoratori era quella, con l’art. 5, di evitare che i prestatori di lavoro fosse esclusi dal mondo lavorativo sulla base di indagini o esiti di indagine mediche fatte attraverso strutture private (più o meno compiacenti), i timori odierni sembrano guardare oltre, rivolgendosi a investigare quali sorti avranno i dati raccolti nel momento della contingenza, che utilizzo potrà essere fatto dei medesimi, quali ripercussioni o abusi potranno esserci anche in un futuro che potrebbe non essere necessariamente prossimo.

In tale contesto, occorre innanzitutto ricordare che i controlli sanitari possono essere svolti dal datore di lavoro solo attraverso le strutture pubbliche o attraverso funzioni normate legislativamente: il medico competente ex TU 81/2008.

Fermo questo pilastro del nostro ordinamento, allora il datore di lavoro “iper scrupoloso” potrebbe far effettuare dal proprio medico competente controlli sanitari quali, ad esempio, i test sierologici ai dipendenti in vista della ripresa lavorativa e dell’accesso alla sede di lavoro?

Potrebbe essere un test che, forse e di primo acchito, sarebbe ben accolto dai dipendenti che dopo il lungo lock-down sono curiosi o preoccupati di sapere se sono entrati in contatto con il virus.

Purtroppo non è così semplice!

Innanzi tutto il medico competente può effettuare quei controlli sanitari che sono previsti per legge per la specifica mansione e/o ruolo, tanto che ad esempio l’alcool test può essere effettuato su un autista ma non sul personale di ufficio.

Esaminando i provvedimenti in essere, con riferimento al tema Covid-19, emerge che il c.d. “Cura Italia (D.L. 18/2020) ha previsto le mascherine quale DPI così come il Protocollo del 14 Marzo e il recentissimo Protocollo del 24 Aprile autorizzano la misurazione della temperatura corporea.

Nessuna previsione espressa, invece, sui test sierologici, ma un possibile spiraglio nel Protocollo del 24 Aprile 2020 che

  • dispone l’adozione da parte del datore di lavoro di misure di precauzione che potranno essere integrate con “altre equivalenti o più incisive secondo la peculiarità della propria organizzazione, previa consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali”;
  • autorizza il medico competente nel suo ruolo di valutazione dei rischi e nella sorveglianza sanitaria a “suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori”.

Pertanto, qualora il medico competente ritenga necessario introdurre mezzi diagnostici utili al contenimento della diffusione del virus e decida di implementare le misure previste nel documento di valutazione dei rischi, ovviamente consultato l’RSPP e l’RLS, il datore di lavoro potrà disporre che tali strumenti siano utilizzati al proprio interno.

Restano, però, alcune riserve in merito alla “opponibilità” dell’esito di un test sierologico al medico di base e/o all’INPS che dovrebbe riconoscere la malattia legata a Covid -19 considerato che si tratta di un esame che, per quanto al momento noto, non da certezze di esito e non esclude la necessità anche di un tampone nasofaringeo in caso di esito positivo (questo da effettuare presso istituto sanitario pubblico, sempre che vi sia possibilità di sottoporsi a tale esame). Resta, allora, l’incertezza di quale trattamento retributivo o indennitario riconoscere al lavoratore nelle more degli approfondimenti e della certificazione medica, se e quando vi sarà la conferma dell’esito.

Si potrebbe, forse, optare per una effettuazione del test su base volontaria, effettuandolo solo su coloro che hanno prestato il proprio consenso espresso?

Purtroppo anche in questa ipotesi si intravedono criticità.

Si tratta in primo luogo di un consenso espresso dal lavoratore relativamente al trattamento di dati particolari ex art. 9 del GDPR: dati che, anche secondo l’attuale normativa e alla luce anche dei pareri dei Works Council, non posso essere trattati su tale base giuridica, poiché si ritiene che nel rapporto di lavoro il consenso non possa essere liberamente espresso e liberamente revocato, sussistendo sempre una sorta di metus nei confronti dell’imprenditore.

Occorre, allora, fare riferimento ad altra base giuridica del trattamento, ma si rientra nelle ipotesi trattate sopra (i) esecuzione di un obbligo normativo, (ii) adempimento del contratto di lavoro (quando è strumentale alle mansioni assegnate).

Si tratta di un “circolo vizioso”: se non c’è una prescrizione normativa non si può sottoporre il lavoratore, neppure con il consenso, ad un controllo sanitario non obbligatorio. Pena le conseguenze amministrative e finanche penali previsti dal TU 196/2003 e GDPR (reclusione da uno a tre anni), nonché le conseguenze penali per violazioni dell’art. 5 Statuto dei Lavoratori come stabilite dal successivo art. 38 (ammenda o arresto sino a 15 giorni, ove non costituisca reato più grave).

In conclusione, sebbene il datore di lavoro sia onerato, ex art. 2087 c.c., di attuare tutte le misure

che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, non potrà adottare quelle misure che eccedano le previsioni normative in materia di controlli sulla salute dei lavoratori e le indicazioni del medico competente, nonché la normativa sul trattamento dei dati personali particolari.