_Dirigenti e ius variandi: quale limite?

di Andrea Savoia e Silvia Fumagalli

Il “nuovo” art. 2103 c.c. come riformato dal D.Lgs. n. 81/2015, ha modificato la facoltà di ius variandi del datore di lavoro che ora può, unilateralmente, adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle a lui assegnate inizialmente, purché riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento, nonché assegnare il lavoratore – al ricorrere di determinate e specifiche ipotesi – a mansioni di livello inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.

In virtù del citato articolo, pertanto, il limite allo ius variandi del datore di lavoro è duplice: da un lato la categoria del lavoratore (dirigente, quadro, impiegato ed operaio) e, da altro lato, il suo inquadramento di appartenenza (il livello previsto dalla contrattazione colletiva).

Ma quale è il limite dello ius variandi se la modifica delle mansioni riguarda una posizione dirigenziale?

Come noto infatti, i contratti collettivi dei dirigenti non prevedono differenziazioni di livelli di inquadramento, ma esclusivamente la categoria dei dirigenti.

La risposta è stata fornita dal Tribunale di Milano (sentenza n. 1068 del 3 luglio 2019), chiamato a pronunciarsi in una controversia promossa da un dirigente che ha contestato il proprio demansionamento con richiesta di risarcimento del danno.

Il Tribunale adito ha affermato che il limite allo ius variandi nel caso dei dirigenti resta la categoria: il datore di lavoro può assegnare al dirigente qualsiasi mansione ed attività, purché le stesse restino di contenuto dirigenziale.

Secondo il Tribunale, inoltre, al fine di stabilire se il dirigente è stato demansionato occorre verificare non tanto l’equivalenza delle nuove mansioni assegnate al dirigente rispetto a quelle precedentemente svolte, ma l’effettività del carattere dirigenziale delle stesse, anche in relazione alla professionalità acquisita.

In altri termini, occorre appurare che il dirigente, pur assegnato ad una diversa attività, mantenga il proprio ruolo dirigenziale, caratterizzato da autonomia e potere decisionale e, comunque, mantenga pari responsabilità secondo l’esperienza maturata.

Se la nuova attività assegnata al dirigente difetta dei suddetti requisiti, il mutamento di mansioni del dirigente risulta illegittimo per violazione dell’art. 2103 c.c..

Ove tali criteri non siano rispettati, pertanto, il dirigente avrà diritto al risarcimento del danno il quale, in ogni caso, non è mai una conseguenza “necessaria” del comportamento illegittimo del datore di lavoro ma deve essere sempre provato dal lavoratore, anche offrendo la prova per presunzioni.