_I limiti al diritto di critica del dipendente.

di Paola Gobbi e Silvia Fumagalli

 Pochissimi giorni fa, la Cassazione ha depositato le motivazioni di un interessante pronunzia che individua il confine tra esercizio lecito e illecito del diritto di critica riconosciuto al dipendente.

La sentenza diventa ancor più interessante laddove ci si soffermi a pensare ai numerosi canali digitali che consentono oggi a chiunque di esprimere opinioni e giudizi, con un’eco pressoché “mondiale”.

Il caso deciso dalla Corte il 18 gennaio 2019 (sentenza n. 1379/2019) ha interessato il licenziamento intimato ad un dipendente per aver trasmesso una lettera alla stampa ove accusava il Consiglio di Amministrazione della società datrice di lavoro, di aver commesso atti di malversazione per favorire ditte esterne.

Per la Cassazione, incontestata l’esistenza di un diritto di critica anche in capo al lavoratore, occorre sempre verificare se quel diritto è stato esercitato nel rispetto di tre limiti fondamentali, mutuati dal lecito esercizio del diritto di cronaca.

Il primo, della c.d. continenza sostanziale, richiede che i fatti “narrati” corrispondano a verità, pur non assoluta, ma corrispondente a un prudente apprezzamento soggettivo di chi afferma gli stessi come veri.

Il secondo, della c.d. continenza formale, esige che la critica sia manifestata utilizzando espressioni rispettose i canoni della correttezza, della misura e del rispetto della dignità altrui, per cui sono da considerarsi “bandite” espressioni che, anche per la loro volgarità, ledano l’onore e la reputazione del datore di lavoro.

Infine, il terzo limite, della c.d. pertinenza, richiede che vi sia rispondenza tra la critica ed un altro interesse meritevole in confronto con il bene suscettibile di lesione: nel caso del rapporto lavorativo, è interesse meritevole, ad esempio, quello che si relaziona con le condizioni di lavoro e dell’impresa.

Il mancato rispetto anche di uno solo dei tre limiti comporta che la condotta del dipendente non sia più scriminata dall’esercizio del diritto di critica, ma può considerarsi, volta per volta e in considerazione del dovere di fedeltà, idonea o a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario (e così costituire giusta causa di licenziamento) o a configurare un grave inadempimento degli obblighi e doveri gravanti sul dipendente (diventando, allora, ipotesi di giustificato motivo soggettivo di licenziamento).

Le regole ribadite dalla Cassazione con la sentenza in esame devono ritenersi valide anche nelle ipotesi, oggi ben più frequenti, in cui la critica venga espressa sui Social Network o utilizzando altri canali telematici: lo strumento di comunicazione, infatti, non esime il dipendente dal rispettare i limiti della continenza e della pertinenza.

Anzi. La scelta di usare un canale con una diffusione “massiva” (come, ad esempio, la bacheca di Facebook) renderà, in molti casi, più probabile che la critica oltrepassi i limiti anzidetti e “sfoci” nella denigrazione del datore di lavoro, con conseguente lesione del suo onore e della sua reputazione. Lesioni, queste ultime, che il datore, alla luce di tutte le circostanze del caso, potrà ritenere idonee a concretizzare un grave inadempimento al dovere di fedeltà imposto al dipendente e che potrà sanzionare anche con il licenziamento per giusta causa (cfr. di recente, Cass. 10280/2018).

In conclusione, di fronte all’esternazione di una critica nei propri confronti, ogni datore dovrà valutare se possano ritenersi oltrepassati i limiti della continenza e pertinenza e, nei casi più gravi, potrà sanzionare la condotta del lavoratore anche con la massima sanzione espulsiva. Lavoratori, avvertiti: “un bel tacer non fu mai scritto”.