_Infedeltà canaglia. Licenziamento e incarico societario presso un competitor.

di Paola Gobbi e Marilena Cartabia

Pochi giorni fa, la Cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi su una tematica tanto attuale quanto poco “esplorata”: cosa fare se si scopre che un dipendente, magari con incarichi di rilievo e correlate responsabilità, è socio e siede nel Consiglio di Amministrazione di una società concorrente?

La sentenza depositata lo scorso 11 aprile 2019 (è la n. 10239) offre molti spunti per rispondere alla domanda, per cui merita un cenno la vicenda concreta da cui è scaturita la decisione.

Nel corso di alcuni accertamenti, una società scopriva che un proprio dipendente di lungo corso e con mansioni di Quadro deteneva delle quote di una società con oggetto sociale parzialmente sovrapponibile al proprio e, di questa nuova società, era anche componente del CDA da oltre un anno.

Dopo gli accertamenti del caso, la società consegnava al lavoratore la lettera di licenziamento per giusta causa data la violazione, al tempo stesso, dell’obbligo di fedeltà a carico del prestatore e delle previsioni del codice etico della datrice, ove si vietava ai dipendenti di tenere comportamenti in conflitto d’interesse.

Impugnato il licenziamento, la Cassazione lo ha ritenuto, anzitutto, conforme al principio di proporzionalità dato che, tacendo al datore di lavoro di aver costituito una società potenzialmente concorrente, l’ex dipendente aveva violato l’obbligo di fedeltà a suo carico (Art. 2105 c.c.).

Inadempimento di maggior gravità vista la posizione rivestita in azienda dal dipendente e la sua possibilità di accedere a notizie su prezzi praticati ai clienti. Ecco perché era irrilevante che, prima del licenziamento, il lavoratore avesse dato le dimissioni dalla carica societaria: l’illecito svolgimento di attività in favore di una concorrente era già stato commesso in costanza di rapporto.

Inoltre, la Corte ha ritenuto che il licenziamento fosse stato intimato nel rispetto del principio dell’immediatezza, la cui violazione era stata a sua volta invocata dall’ex dipendente. Secondo quest’ultimo, infatti, la contestazione disciplinare gli era stata consegnata senza rispettare il principio di tempestività perché la datrice, con una semplice visura alla CC.I.A., avrebbe potuto apprendere, oltre un anno prima dal giorno della contestazione, la sua partecipazione al CDA della società concorrente.

Per la Cassazione, invece, non si può pretendere che una società con numerosi dipendenti controlli in modo capillare se taluno di essi detenga partecipazioni sociali o sieda nel CDA di società concorrenti. Conclusioni che valgono anche dopo aver ribadito come il principio dell’immediatezza abbia la funzione (anche) di garantire la buona fede e l’affidamento del dipendente, precludendo al datore di perpetrare incertezze sulla sorte del contratto di lavoro.

Allo stesso modo, non viola il principio dell’immediatezza il datore che, venuto a conoscenza dell’inadempimento commesso dal proprio lavoratore, prima di procedere alla contestazione, decida di svolgere indagini più approfondite sui fatti costituenti illecito disciplinare, trattandosi di condotta a tutela del diritto di difesa del lavoratore. Di qui, peraltro, l’ulteriore motivo per cui la Cassazione ha ritenuto condivisibile la decisione della Corte d’Appello, avendo il datore fornito prova della verosimiglianza dei tempi occorsi tra la scoperta del “misfatto” e i successivi accertamenti sfociati nella contestazione.

In conclusione, la sentenza rappresenta un interessante precedente avendo fatto applicazione dei principi di proporzionalità e di immediatezza, molte volte invocati dai lavoratori per sostenere l’illegittimità del licenziamento, in un caso particolare come quello della violazione del dovere di fedeltà e della commissione di atti in conflitto d’interesse con il datore di lavoro.