_I poli opposti: condotte extra lavorative e licenziamento

I poli opposti: condotte extra lavorative e licenziamento
di Paola Gobbi e Marilena Cartabia

 

Maltrattare la moglie o essere sorpreso con un “panetto” di fumo nella tasca della tuta aziendale non basta per licenziare il dipendente per giusta causa: è quello che è stato deciso solo pochi giorni fa dalla Cassazione con due recentissime sentenze.

Nel primo caso, deciso lo scorso 10 settembre, la Cassazione (sentenza n. 21958/2018) ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato per giusta causa al capo stazione condannato, in sede penale, per maltrattamenti in famiglia.
Nella seconda vicenda, invece (Cassazione, sentenza n. 21679/2018) un magazziniere era stato licenziato perché sorpreso dai Carabinieri in possesso di una bustina di hashish nella tasca della tuta aziendale durante la pausa pranzo.
In entrambi i casi le conclusioni della Cassazione sono state, seppur con argomentazioni in parte diverse, sovrapponibili: la condotta extra lavorativa del lavoratore non poteva ritenersi idonea ad incidere sulla fiducia riposta dal datore nel futuro corretto adempimento degli obblighi lavorativi gravanti in capo al dipendente.
Infatti, secondo la Cassazione, comportamenti extra lavorativi possono essere posti a fondamento del licenziamento, anche per giusta causa, solo quando il giudizio prognostico sulla futura correttezza e adeguatezza del comportamento del lavoratore dia risultato “negativo”.
Nel primo caso, allora, per escludere tale rilevanza, la Cassazione ha sottolineato come la condotta lavorativa del capo stazione fosse stata, negli anni precedenti, “impeccabile” e priva di condotte sconvenienti in relazione alle mansioni espletate. Ancora, a conferma della natura solo personale e privata della condotta tenuta dal ferroviere e della sua inidoneità a riversarsi sul piano del corretto adempimento degli obblighi lavorativi, la Corte rileva come i maltrattamenti fossero originati da una separazione coniugale conflittuale.
Nel secondo caso, invece, per la Cassazione la vicenda, pur di rilevo disciplinare, non poteva però legittimare la risoluzione in tronco del rapporto perché la condotta imputata al dipendente era extra-lavorativa e priva di potenziale pregiudizialità per il datore.

Entrambe le sentenze, allora, confermano come l’orientamento oggi prevalente sia quello di ritenere idonee a fondare il licenziamento per giusta causa le sole condotte tenute “fuori dalle mura aziendali” che per la gravità delle stesse e per la tipologia di mansioni e responsabilità assegnate siano tali da ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro.
Pertanto, prima di procedere al licenziamento, ogni datore di lavoro dovrà valutare con attenzione se la condotta tenuta nella “vita privata” possa ritenersi sintomatica di futuri inadempimenti del dipendente. In caso contrario, il rischio concreto potrebbe essere quello di ottenere una condanna alla reintegra del lavoratore “per insussistenza del fatto contestato”, con le ulteriori conseguenze economiche del caso.
Come dire…..meglio tener ai poli opposti il lavoro e la vita privata!