_Punito chi abusa dei congedi per motivi familiari e parentali

Punito chi abusa dei congedi per motivi familiari e parentali
di Paola Gobbi e Marilena Cartabia

 

Al dipendente sorpreso a lavorare presso un’altra azienda, durante la fruizione dei congedi per motivi familiari, non basterà più invocare l’illegittimità dei controlli svolti dall’agenzia investigativa o la mancata affissione del codice disciplinare per far “cadere” il licenziamento intimatogli per giusta causa.
E’ quanto ha deciso la Cassazione molto di recente, con la sentenza n. 6893 del 20 marzo 2018, in un caso ove il lavoratore, dopo aver chiesto un periodo di astensione non retribuita dal lavoro per assistere la madre disabile, era stato invece sorpreso a recarsi quotidianamente pressi i locali di un’altra azienda, di cui era risultato amministratore e responsabile dalla gestione tecnica.

A nulla è valso il tentativo del lavoratore di far dichiarare l’investigazione difensiva svolta nei suoi confronti prova “inidonea”: secondo la Cassazione, infatti, è giustificato il ricorso alle agenzie investigative quando il datore abbia anche solo il sospetto che il dipendente stia commettendo un illecito, tanto più se il controllo avviene in un momento di sospensione dell’esecuzione dell’attività lavorativa (come avviene, appunto, in caso di fruizione di congedo). In tal caso, infatti, l’investigazione viene disposta per accertare la commissione o meno di un illecito da parte del dipendente e non per accertare l’eventuale inadempimento della prestazione lavorativa durante l’orario di lavoro.

Stessa sorte per la contestazione sulla mancata affissione del codice disciplinare, non necessaria quando la condotta imputata è contraria al c.d. “minimo etico”.
Secondo la Corte, svolgere un’altra attività lavorativa durante la fruizione dei congedi integra negazione del dovere di fedeltà, oltre che dei generali principi di correttezza e buona fede, per cui è idonea a costituire giusta causa di licenziamento. Peraltro, la condotta del dipendente diviene ancor più grave nel caso in cui sia la legge stessa che, riconosciuta la possibilità di richiedere un congedo per gravi e documentati motivi familiari, pone però a carico del dipendente il divieto di svolgere alcun tipo di attività lavorativa durante il periodo di fruizione del permesso (come nell’ipotesi dell’Art. 4, comma 2 L. 53/2000).

I principi appena ricordati sono stati, poi, ribaditi dalla Cassazione nella più recente pronunzia del 26 marzo 2018, n. 7425, in un caso ove il lavoratore aveva tentato di “sminuire” la gravità della propria condotta invocando la natura di cortesia e la gratuità della prestazione resa in favore di un’altra società, allorquando era assente dal lavoro per fruire del congedo parentale.
Per la Cassazione, la condotta del lavoratore costitutiva violazione dell’obbligo di fedeltà perché configurava un abuso della facoltà di non rendere la propria prestazione lavorativa durante la fruizione del congedo parentale, congedo che viene riconosciuto per svolgere attività di assistenza familiare di rilevo costituzionale e non certo per prestare attività lavorativa (anche solo gratuita) presso un’altra società.
Dovere di fedeltà che, precisa la Corte, permane per tutta la vigenza del rapporto di lavoro, quindi anche laddove il lavoratore venga sospeso per motivi disciplinari, dovendo anche in questo caso attenersi ai principi di correttezza e buona fede: ecco perché, nel caso di specie, anche la seconda doglianza del lavoratore non era stata ritenuta idonea a scalfire la gravità del fatto addebitatogli.

Nel rapporto di lavoro, quindi, il dovere di fedeltà, correlato ai generali principi di correttezza e buona fede, assume valore fondante per cui la sua violazione, integrabile con una pluralità di condotte, è idonea a costituire giusta causa di licenziamento.