a cura di Uniolex-Stucchi&Partners
La diffusione del virus Covid-19 ha imposto alle istituzioni di individuare quante più soluzioni possibili per limitare le conseguenze, anche economiche, legate alle chiusure di molte attività produttive.
Tra le misure eccezionali adottate dal legislatore italiano quella che ha da subito destato molto “scalpore” è stata l’introduzione del c.d. blocco dei licenziamenti: con l’Art. 46 del Decreto Cura Italia, da marzo 2020, si è imposto a tutte le aziende di non avviare procedure di licenziamento collettivo (quelle pendenti al 23 febbraio 2020 sono state sospese) e di non intimare licenziamenti per motivi economici, senza operare alcuna distinzione in base al numero dei dipendenti. Questo divieto, che inizialmente doveva operare solo per sessanta giorni, è stato via via prorogato, poi in parte “riscritto” ad Agosto (cfr. Art. 14 del D.L. 104/2020) e, da ultimo, confermato nella sua formulazione più ampia sino al prossimo 31 marzo 2021, con l’approvazione della Legge di Bilancio per il 2021 (Legge n. 178 del 30.12.2020).
Di fronte a un divieto di tale portata, fin dalle settimane successive l’entrata in vigore del c.d. blocco si è aperto un vivace dibattito su due temi: l’individuazione delle ipotesi escluse dal novero dei casi “bloccati” e l’individuazione del regime sanzionatorio applicabile all’azienda che avesse comunque deciso di licenziare per ragioni economiche, visto il silenzio tenuto dal legislatore.
Proprio alla seconda domanda hanno di recente dato risposta due sentenze: la prima del Tribunale di Roma, datata 20 ottobre 2020, e la seconda del Tribunale di Mantova, datata 11 novembre 2020, ad oggi, la prime pronunzie note sul c.d. blocco dei licenziamenti.
La decisione del Tribunale di Roma ha interessato il caso di una collaboratrice “allontanata” dalla società committente nell’aprile 2020, prima della scadenza apposta al contratto e senza indicazione di alcuna motivazione. Riqualificato del Giudice di Roma il rapporto intercorso tra la società e la lavoratrice come di lavoro subordinato, il recesso dall’azienda è stato dichiarato nullo perché intimato durante la vigenza del “blocco dei licenziamenti”. In particolare, la società aveva sostenuto in giudizio che il recesso era stato determinato da ragioni di carattere organizzativo e produttivo sopravvenute che avevano reso non più necessaria la prestazione della collaboratrice, argomentazioni da cui il Tribunale ha desunto la natura illecita del recesso proprio perché riconducibile ad una motivazione economica, vale a dire quella “coperta” dal divieto introdotto con il Decreto Cura Italia.
Il recesso della società è stato, pertanto, considerato atto nullo perché intimato in violazione di una norma imperativa come è stata qualificata la disposizione che, tutt’oggi, vieta il licenziamento per motivi economici. Quanto al regime sanzionatorio, il Tribunale di Roma ha disposto la reintegrazione della lavoratrice e il risarcimento del danno pari a un’indennità commisurata a tutte le retribuzioni perse dalla data del licenziamento sino all’effettiva reintegra, applicando al caso concreto la previsione dell’Art. 18, comma 1 St. Lav. in ragione della data di assunzione della lavoratrice (2010).
Il secondo caso, invece, deciso dal Tribunale di Mantova, ha interessato una dipendente assunta a maggio 2018, collocata in CIG-Covid a marzo 2020 e licenziata il 9 giugno 2020 per “ la chiusura della sede operativa e la cessazione dell’attività”. Impugnato il licenziamento, la lavoratrice dimostrava che l’attività del suo datore non era affatto cessata perché altri punti vendita erano rimasti aperti e vi continuavano a lavorare altre colleghe, per cui chiedeva al Giudice di essere reintegrata.
Secondo il Tribunale di Mantova, il c.d. blocco dei licenziamenti costituisce una tutela temporanea della stabilità dei rapporti di lavoro, finalizzata a salvaguardare la stabilità del mercato e del sistema economico, per cui la sua adozione si collega ad esigenze di ordine pubblico: per questi motivi, il divieto assume natura imperativa e la sua violazione comporta la nullità del licenziamento sia ai sensi dell’Art. 18, comma 1 St. lav. (che si applica a chi è stato assunto prima del 7 marzo 2015), sia ai sensi dell’Art. 2 del D.lgs. 23/2015 (che si applica a chi è stato assunto in regime di c.d. tutele crescenti). Anche in questo secondo caso, quindi, la sanzione applicata è stata quella della reintegra, oltre al risarcimento del danno.
Anche nelle prossime settimane, pertanto, le società dovranno valutare con la massima prudenza le ragioni sottese ad un licenziamento e la possibilità di procedervi, onde evitare che in un successivo contenzioso il loro recesso venga qualificato come atto nullo, con conseguente applicazione della massima sanzione prevista nel nostro ordinamento: la reintegra.
Lo scorso 30 dicembre 2020 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge di Bilancio per il 2021 (Legge n. 178 del 30 dicembre 2020) entrata in vigore il 1° gennaio 2021. Anche quest’anno, non sono mancate misure che interessano i datori di lavoro.
In sintesi, le più importanti:
Rimane, infine, la possibilità per i datori di lavoro di stipulare accordi collettivi aziendali con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che prevedano un incentivo alla risoluzione del rapporto con i soli lavoratori che volontariamente vi aderiscano, ai quali eccezionalmente viene consentito l’accesso alla Naspi, pur non trattandosi di un’ipotesi di perdita involontaria del lavoro (Art.1, commi 309-311);
Si segnala altresì:
Anche Gennaio prosegue all’insegna della restrizioni: con un doppio pacchetto di misure, l’Esecutivo interviene sia per prorogare lo stato di emergenza sino al prossimo 30 Aprile 2021, sia introducendo limitazioni a molte attività (e libertà) allo scopo di evitare un’ulteriore crescita dei contagi da Covid-19.
Sono stati, infatti, firmati il 14 gennaio 2020 un nuovo Decreto Legge (n. 2/2021), entrato in vigore il giorno stesso perché pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, e un ulteriore Decreto del Presidente del Consiglio: quest’ultimo resterà in vigore dal 16 gennaio fino al prossimo 5 marzo 2021.
In particolare, per quanto di interesse dei datori di lavoro:
a) Con il Decreto Legge n. 2 del 14 gennaio 2021, si è disposta:
_Proroga dello stato di emergenza sanitaria sino al prossimo 30 Aprile 2021;
_Vietati, dal 16 gennaio 2021 al 15 febbraio 2021, gli spostamenti tra diverse Regioni e province autonome, salvo che per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute: consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione;
_Dal 16 gennaio 2021 al 5 marzo 2021:
_Ammessa l’individuazione, con ordinanza del Ministero della Salute, di Regioni c.d. “bianche” (i.e. con uno scenario di “tipo 1”, un livello di rischio “basso” e una incidenza dei contagi, per tre settimane consecutive, inferiore a 50 casi ogni 100mila abitanti): in questa zone, non si applicheranno le misure restrittive previste dai DPCM per le aree gialle, arancioni e rosse, ma le attività si svolgeranno secondo specifici protocolli. In queste zone potranno, comunque, essere adottate, con DPCM, specifiche misure restrittive legate e a determinate attività particolarmente rilevanti dal punto di vista epidemiologico
b) Più numerose le misure contenute del nuovo DPCM del 14 gennaio 2021
B 1. Misure valide in tutta Italia:
B 2. Misure valide nelle Regioni del c.d. scenario di tipo 2 con rischio moderato e scenario di tipo 1 con rischio alto (c.d. Regioni Arancioni)
Per tali Regioni, individuate con ordinanza del Ministero della Salute, per un periodo di almeno 15 giorni, varranno ulteriori misure di contenimento quali:
B 3. Misure valide nelle Regioni del c.d. scenario di tipo 3 (Regioni Rosse)
Nelle Regioni che saranno collocate nel c.d. “scenario 3” con ordinanza del Ministero della Salute, per un periodo di almeno 15 giorni, varranno ulteriori misure di contenimento quali:
B4. Misure per le attività produttive industriali e commerciali:
B5. Misure per le attività professionali:
Restano, infine, le limitazioni agli spostamenti da e per l’estero che restano soggetti a differenti divieti oppure obblighi di dichiarazione e di sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o sottoposizione a test molecolare o antigenico a seconda del Paese di ingresso, della durata del soggiorno all’estero e della motivazione del viaggio.