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Testata: MAG_LegalCommunity
Titolo: Uniolex apre al Corporate con Petrucci

Diritto del lavoro e non solo. UnioLex 2020. «Due volte 2.0», dice il fondatore Olimpio Stucchi a MAG. Comincia un nuovo anno, il sesto passato dalla fondazione (aprile 2014) della boutique dopo l’uscita dell’avvocato da LabLaw. E si apre con una novità importante: l’arrivo di un professionista con cui il progetto UnioLex avrà una nuova declinazione in chiave corporate e M&A.

Si tratta di Fabrizio Petrucci, avvocato di lungo corso, profondo conoscitore delle questioni aziendali e da ultimo “startupper” o meglio promotore di progetti imprenditoriali nei settori più innovativi.

La notizia è interessante perché registra una novità nell’approccio strategico al mercato di UnioLex che, in questo modo, affianca all’offerta in ambito employment law anche una nuova proposta corporate.

«Ho sempre vissuto la practice labour – dice Stucchi a MAG – in una ottica di integrazione fra discipline. Sia durante gli anni trascorsi in Carnelutti, dove il dipartimento era parte di una struttura full service, sia durante il periodo passato in LabLaw dove mi sarebbe piaciuto avviare un’iniziativa simile». E, a quanto pare, proprio con Petrucci. «Conosco Fabrizio da tanti anni – riprende Stucchi – Siamo stati colleghi in Carnelutti e anche quando le nostre strade professionali si sono separate abbiamo continuato a tenere vivo il nostro rapporto».

L’idea di questa “reunion” sotto l’egida di UnioLex, prende forma più o meno a ottobre 2019. «Eravamo a pranzo assieme – ricorda Stucchi – e finalmente ci siamo detti: questo è il momento per provarci!».

Ma con quale obiettivo? «L’idea – sottolinea il fondatore – è di restare una boutique dedicata ad incarichi di alta complessità e di alto valore aggiunto nei nostri settori».

Da questo incontro, è nato un disegno per dar vita ad una struttura multipractice, che vada anche ad attivare le sinergie tra la practice labour e quella corporate.

«Sinora UnioLex è stato uno studio labour che copriva la materia ad ampio spettro. Nel corporate vorremmo arrivare ad avere lo stesso posizionamento».

Oggi, dopo l’uscita di Sharon Reilly e Marco Tesoro (si veda il numero 134 di MAG) lo studio conta una decina di professionisti tra cui tre soci (oltre a Stucchi, ci sono Paola Gobbi e Andrea Savoia) e un of counsel: Fabrizio Petrucci.  Ma se il corporate deve diventare la seconda gamba dello studio è verosimile aspettarsi una campagna di recruitment.

«Entro fine anno – dice Petrucci – inseriremo almeno un paio di nuovi senior associate. Ma non è tutto. Intendiamo crescere, senza fretta, ma guardando al mercato per realizzare dei lateral hires. Anche se non pensiamo che le dimensioni siano un fattore determinante per la qualità». Petrucci ha un’esperienza vasta del mercato e una conoscenza approfondita dei vari modelli operativi con cui un progetto professionale può essere mandato avanti. Dal 2000 è stato socio di Andersen Legal, poi di Deloitte legal, quindi promotore del progetto indipendente Petrucci&Partners, socio di Carnelutti, partner di Delfino Willkie Farr & Gallagher fino a tornare in proprio anche per potersi dedicare a progetti imprenditoriali. «Sono stato di recente promotore di un club deal che ha investito in progetti tecnologici nel settore dell’energia».

UnioLex ha chiuso l’ultimo esercizio con ricavi per circa 2,1 milioni di euro mettendo in fila operazioni come lo sviluppo delle operazioni di Roland Berger in Italia, la riorganizzazione di Esaote e quella di Uriage. L’investimento nel corporate potrebbe portare a stretto giro a un incremento del fatturato del 50%. E non solo per la semplice aggregazione di un business case, ma per le opportunità di lavoro che potranno derivare dall’ampliamento dell’offerta. Su questo, Stucchi è chiarissimo: «Questa collaborazione nasce per far sì che uno più uno faccia tre».

 

 

Testata: Diritto24_IlSole24Ore, TopLegal, LegalCommunity, Le Fonti Legal, Trend Online
Titolo: UnioLex apre al Corporate e M&A con Petrucci

Fabrizio Petrucci entra a far parte di UnioLex – Stucchi&Partners. L’avvocato Petrucci, già socio di Deloitte, Carnelutti e Delfino-Wilkie Farr&Gallagher, è specializzato in Corporate finance, M&A domestico e cross-border e Sovereign Wealth Funds.

Fabrizio avrà il compito di aprire e sviluppare la nuova practice di Corporate ed M&A e di integrarla con i tradizionali settori di attività dello Studio, da sempre attivo nel campo del diritto del lavoro e delle relazioni industriali, e del private banking.

UnioLex prosegue così nel percorso di potenziamento dei servizi a favore dei clienti in aree complementari, al contempo garantendo il mantenimento degli usuali standard di professionalità ed organizzazione.

Testata: Legalcommunity_Le Fonti Legal
Titolo: Uniolex per il sistema di sorveglianza sanitaria dipendenti di CirFood

Uniolex, con la partner Paola Gobbi, ha assistito CirFood nella definizione ed implementazione di nuovi processi per la sorveglianza sanitaria sui dipendenti.

CirFood, società operante nel settore della ristorazione collettiva e servizi per le imprese con circa 13mila dipendenti, ha sviluppato un importante progetto di sorveglianza sanitaria diretto a gestire il rischio professionale e sensibilizzare i dipendenti sui temi della sicurezza sul lavoro e idoneità lavorativa. Il progetto si è inserito in un più ampio percorso legato ad investimenti formativi per circa 42 milioni di euro pianificati su oltre sette aree territoriali.

Testata: Diritto24_IlSole24Ore
Titolo: Riders Atto Terzo: la decisione della Cassazione.

a cura degli avv.ti Olimpio Stucchi e Marilena Cartabia

 Ma i riders e i lavoratori delle c.d. piattaforme digitali sono o non sono lavoratori subordinati?

Per molti mesi, questo è stato il dilemma di tante società di fronte al continuo susseguirsi di interventi di legge e di sentenze.

Venerdì 24 gennaio la risposta è stata data dalla Cassazione: non è decisivo stabilire se i riders siano lavoratori subordinati o autonomi, perché basta che ricorrano gli elementi individuati dal legislatore all’Art. 2 del D.lgs. 81/2015 (personalità, continuità ed etero-organizzazione) perché venga loro applicata la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Per arrivare a questa conclusione, la Corte ha deciso non solo di riassumere le “tappe” della vicenda giudiziaria dei riders di Foodora, ma di ripercorrere anche gli snodi che, da giugno 2015, hanno segnato la “storia” dell’Art. 2 del D.lgs. 81/2015 ove sono state disciplinate per la prima volta le collaborazioni c.d. etero-organizzate.

La vicenda giudiziaria dei riders è forse ben nota, visto l’interesse che ha suscitato sui media e il dibattito sorto intorno a questi lavoratori, ritenuti emblema della nuova c.d. gig economy. Volendo riassumerla, basta ricordare che un gruppo di loro, cessata la collaborazione con Foodora, decideva di far causa alla società di food delivery chiedendo al Tribunale di Torino di accertare la natura subordinata del rapporto intercorso. Secondo il Giudice di primo grado, però, le modalità con cui si era svolta la collaborazione non consentivano di qualificarla come rapporto di lavoro subordinato, per cui tutte le domande dei riders venivano respinte.

Il caso veniva, allora, portato davanti alla Corte d’Appello di Torino che, a febbraio dell’anno scorso, qualificava le collaborazioni dei riders come “terzo genere”, vale a dire come collaborazioni autonome etero-organizzate a cui andavano applicate le regole del lavoro subordinato secondo quanto previsto dall’Art. 2, D.lgs. 81/2015. In particolare, per i Giudici dell’appello potevano applicarsi ai riders le norme in materia di retribuzione diretta e differita, ferie, orario, igiene e sicurezza, previdenza, ma non le regole sul licenziamento.

A quel punto, era Foodora ad impugnare la decisione davanti alla Corte di Cassazione che, però, non ha accolto le argomentazioni della società sul significato e sulla portata dell’Art. 2 del D.lgs. 81/2015.

Secondo la Cassazione per comprendere l’Art. 2 occorre contestualizzarlo: si tratta, infatti, di una norma introdotta da uno dei decreti attuativi il c.d. Jobs Act (L. 184/2014) con i quali il legislatore aveva deciso di innovare le regole di ogni fase del rapporto di lavoro, al fine di incentivare, in via diretta e indiretta, le assunzioni di lavoratori subordinati a tempo indeterminato. E così, se da un lato, erano state eliminate le collaborazioni a progetto (Artt. 61 e ss., D.lgs. 276/2003), dall’altro, però, si erano mantenute le collaborazioni coordinate e continuative (Art. 409, comma 3 cpc) che, per la loro maggior ampiezza, si possono prestare a più facili abusi. Per questo, in una prospettiva anti-elusiva, il legislatore aveva stabilito all’Art. 2 del D.lgs. 81/2015 che, dal 1° gennaio 2016, si sarebbero applicate le norme del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in cui la prestazione di un collaboratore avesse avuto carattere esclusivamente personale, si fosse svota in maniera continuativa e le sue modalità di esecuzione fossero state organizzate dal committente.

In poche parole, il legislatore del 2015, invece che ricondurre le molteplici nuove forme di lavoro ad una singola tipologia di rapporto, ha preferito valorizzare tre indici fattuali della prestazione lavorativa ritenendoli sufficienti per applicare la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Nel caso dei riders, secondo la Cassazione, non serve inquadrarli in un “terzo genere” intermedio tra il lavoro autonomo e quello subordinato, ma basta che ricorrano le caratteristiche indicate dall’Art.2 per applicare anche a loro la disciplina integrale del rapporto di lavoro subordinato, inciso di portata più ampia rispetto all’approccio selettivo tenuto dalla Corte d’Appello torinese.

A questo punto, però, potrebbe sorgere spontanea una domanda: perché la prestazione dei riders è stata considerata etero-organizzata, se ciascuno di loro era libero di scegliere se rendere o meno la prestazione e, anche in caso di revoca delle disponibilità o di assenza dal turno, la società non poteva sanzionarlo?

La ragione, secondo la Cassazione, è che l’autonomia del lavoratore riguardava solo una fase iniziale del rapporto, ma non quella successiva di esecuzione, rilevante per la riconduzione della fattispecie nel perimetro dell’Art. 2, D.lgs. 81/2015. Infatti, una volta candidatosi per la corsa, il rider doveva, sotto un profilo temporale, effettuare la consegna entro trenta minuti e, sotto un profilo spaziale, recarsi all’inizio del turno in una delle zone di partenza individuate dall’app installata sul suo smartphone e, quindi, recarsi a ritirare il cibo e consegnarlo nei luoghi sempre indicati dall’applicazione.  Detto altrimenti, era l’app e non il collaboratore a scegliere dove, quando e come eseguire la prestazione.

Di qui la differenza con le collaborazioni coordinate e continuative dell’Art. 409 cpc dove pure sono presenti elementi di coordinamento tra la prestazione del collaboratore e quella del committente, ma questi vengo stabiliti di comune accordo tra le parti. Nel caso, invece, delle collaborazioni dell’Art. 2, D.lgs. 81/2015 le modalità di coordinamento sono imposte unilateralmente dal committente.

Infine, a sostegno delle proprie argomentazioni, la Cassazione si sofferma su un altro particolare: le modifiche dell’Art. 2, introdotte a novembre 2019 dal Decreto Salva Imprese (L. 128/2019) non sono retroattive e non possono applicarsi alla vertenza dei riders di Foodora. Però, l’intento protettivo del legislatore del 2015 di estendere le tutele del lavoro subordinato a quanti operano in una “zona grigia” è confermato dalla novella del 2019 perché anche quest’ultima scoraggia letture restrittive dell’Art. 2.

E’ ora probabile che la decisione della Suprema Corte riaccenda il dibattito sull’opportunità di regolare forme di lavoro che, per le loro caratteristiche concrete, difficilmente possono qualificarsi come lavoro subordinato (ex Art. 2094 c.c.) o come lavoro autonomo (ex Art. 2222 c.c.) e, ancora, sull’opportunità di estendere in toto le tutele previste per il lavoro subordinato a queste nuove figure, estensione che solleva alcuni dubbi di ragionevolezza. Per questo, non è detto che la decisione della Cassazione sia l’ultimo episodio della saga.

Infine, è altrettanto probabile che, nei prossimi mesi, verranno sperimentate dalle parti sociali soluzioni “intermedie” ricorrendo alla deroga che il legislatore riserva alla contrattazione collettiva. Soluzioni sperimentali che potrebbero evitare l’incremento del costo lavoro che sarà, invece, il primo effetto certo della sentenza.

 

 

 

Cassazione 1663 -2020

Testata: Diritto24_Legalcommunity_Le Fonti Legal

Uniolex, con il Partner Andrea Savoia, ha assistito Laboratoires Dermatologiques Uriage Italia nella pianificazione ed implementazione del processo di riorganizzazione ed efficientamento della rete degli informatori dipendenti della società, che ha consentito di raggiungere gli obiettivi aziendali senza alcun contenzioso con i lavoratori coinvolti.

Testata: Mag_ LegalCommunity

di Olimpio Stucchi*

Se è vero che ogni gioco ha le sue regole, quelle del contratto a termine sono tra le più ri-scritte dal legislatore italiano dell’ultimo ventennio. E non solo.

Dall’abrogazione dell’Art. 2097 c.c., si sono susseguiti numerosi interventi e ognuno ha affrontato in modo diverso due questioni: primo, come delimitare la possibilità di apporre un termine al contratto di lavoro; secondo, per quali ragioni ammettere il ricorso al lavoro a tempo determinato (c.d. “causali”).

Nel 2015, il D.lgs. 81/2015 aveva risolto la seconda questione scegliendo di “eliminare” le causali, per cui datore e lavoratore avrebbero potuto sottoscrivere, prorogare e rinnovare un contratto a tempo determinato senza più indicare il motivo dell’apposizione del termine, limitandosi a rispettare i limiti quantitativi e di durata massima prescritti (cfr. Artt. 19 e 21, D.lgs. 81/2015).

Da luglio 2018, però, con l’approvazione del Decreto Dignità (L. 96/2018), è stato re-introdotto l’obbligo di indicare una tra le causali tipizzate, sia in caso di prima assunzione a termine con durata superiore a dodici mesi, sia per rinnovare o prorogare il contratto oltre i dodici mesi.

In questo scenario, si inserisce la sentenza del Tribunale di Firenze del 26 settembre 2019 che, pur riguardando un caso “ante” Decreto Dignità, potrebbe rappresentare un precedente nei contenziosi di prossima instaurazione.

In breve, la vicenda riguardava un portalettere che, dopo aver sottoscritto un primo contratto a termine acausale, prorogato diverse volte, veniva riassunto con un secondo contratto acausale, con mansioni identiche alle precedenti.

Per il Giudice di Firenze, tale successione di contratti acausali era nulla ex Art. 1418 c.c. perché, sebbene conformi ai dettami di legge, erano stati conclusi per soddisfare esigenze stabili e durevoli.

Secondo il Tribunale, la legge italiana ha individuato nel contratto a tempo indeterminato la forma comune dei rapporti di lavoro e questa regola deve essere interpretata secondo i principi della Direttiva 1999/70/CE per cui l’assunzione a termine costituisce un’eccezione ammissibile solo per soddisfare esigenze transitorie.

Finalità della Direttiva, prosegue la sentenza, è la prevenzione degli abusi discendenti dall’utilizzo di una successione di rapporti a termine, per cui anche la Corte di Giustizia ha più volte censurato le leggi nazionali che consentivano l’uso del contratto a termine per soddisfare esigenze permanenti.

Pertanto, interpretando le regole italiane in ossequio ai “principi comunitari inderogabili”, la sottoscrizione di uno o più contratti a termine, per soddisfare esigenze stabili e durevoli, costituisce un abuso che comporta la nullità della clausola appositiva del termine.

Con una precisazione: la prova dell’abuso è a carico di chi lo invoca. Nel caso concreto di Firenze: aver utilizzato personale a termine per sopperire carenze stabili di organico. Abuso altresì provato perché la datrice nulla aveva allegato per dimostrare la sussistenza di esigenze transitorie, ma si era difesa eccependo la legittimità formale dei contratti acausali per cui non era suo obbligo specificare i motivi dell’assunzione.

Letta la sentenza, non si rimane del tutto persuasi dalle sue argomentazioni, anzitutto, perché sembrerebbe ammettere che la validità del contratto a tempo determinato sia decisa non in base alle norme tempo per tempo vigenti, ma con un giudizio discrezionale sulla sussistenza o meno di ragioni “stabili e durevoli” che vieterebbero il ricorso all’assunzione a termine. Valutazione discrezionale che potrebbe travolgere sia la successione di contratti acausali firmati prima del Decreto Dignità, ma anche quelli successivi, visto che l’assunzione acausale è ancora possibile se il contratto ha durata inferiore a dodici mesi.

Inoltre, se è vero che lo scopo della Direttiva è quello di impedire abusi nella successione o nel rinnovo dei contratti a termine, è però altrettanto vero che lascia gli Stati membri liberi di scegliere quali tra le misure alternative di prevenzione usare: o l’indicazione di ragioni obiettive oppure la durata massima dei contratti a termine o, ancora, il numero dei rinnovi. La Direttiva, in poche parole, non impone di specificare i motivi per cui l’assunzione è fatta a termine, potendo “bastare”, a prevenire abusi, una limitazione di tipo numerico o di durata. Proprio come prescritto dal D.lgs. 81/2015 o dalla L. 96/2018.

A questo punto, nei prossimi mesi si potrà vedere se le conclusioni della sentenza resteranno una “voce fuori dal coro” oppure se saranno confermate in appello e condivise da altri Tribunali.

*Managing Partner, UnioLex- Stucchi & Partners

 

Testata: LE FONTI LEGAL - LEGALCOMMUNITY
Titolo: UNIOLEX NELLA RIORGANIZZAZIONE GLOBALE DEL GRUPPO ESAOTE

Uniolex, con i partners Olimpio Stucchi e Andrea Savoia, ha assistito il Gruppo Esaote nella implementazione di un processo di riorganizzazione che, con obiettivi differenti, ha avuto un impatto a livello internazionale coinvolgendo Italia, Francia e Olanda e conclusosi con accordi sindacali e senza contenziosi.

In particolare, mentre in Italia la procedura collettiva avviata ha avuto come principale obiettivo quello di consentire un ricambio generazionale attraverso un piano di prepensionamenti, in Olanda è stata attuata una procedura di riorganizzazione che ha consentito di spostare presso l’Headquarter di Genova lo Shared Service Center per le Regioni del Western Europe. Inoltre, nel corso dell’anno, Uniolex ha assistito il gruppo Esaote nel passaggio dal CEO di Gruppo uscente a quello subentrante e nella sostituzione del vertice della controllata francese.

 

 

 

Testata: AIDP_HR On Line
Titolo: Work-life balance e parità di genere: tutto quello che occorre sapere sulla nuova Direttiva Europea.

di Olimpio Stucchi

La capacità di innovare è quasi sette volte superiore nelle aziende con una solida cultura della parità di genere: lo rivela uno studio condotto quest’anno, confermando come l’inclusione femminile abbia un effetto moltiplicatore sull’innovazione.

Tuttavia, ancora oggi, la squilibrata distribuzione dei ruoli familiari e la difficoltà di conciliare vita professionale – vita privata sono tra le principali cause di “allontanamento” delle donne dal mondo lavoro.

In questo scenario, si inserisce la nuova Direttiva del Parlamento Europeo (Dir. UE n. 2019/1158) pubblicata lo scorso 12 luglio. L’obiettivo del legislatore europeo è quello di conseguire la parità tra uomini e donne nelle opportunità e nel trattamento lavorativo, promuovendo sia la partecipazione delle donne al mercato del lavoro che una diversa ripartizione delle responsabilità socio-assistenziali fra uomini e donne.

Come si legge nelle Premesse, l’attenzione delle istituzioni europee per il tema della parità di genere non nasce solo dall’esigenza di tutelare diritti sociali ma, soprattutto, dall’urgenza di affrontare le sfide economiche legate al cambiamento della struttura demografica della popolazione.

Per raggiungere il suo obiettivo, la Direttiva interviene su quattro materie: il congedo di paternità, il congedo parentale, i permessi per assistere familiari in condizioni di bisogno e il lavoro flessibile.

Quanto ai congedi, la Direttiva riconosce, anzitutto, ai padri lavoratori il diritto a un congedo di paternità di dieci giorni lavorativi (retribuiti o indennizzati) da fruire in occasione della nascita del figlio. Tale congedo non potrà essere subordinato all’anzianità lavorativa o di servizio (Art. 4, Dir. UE 2019/1158).

In secondo luogo, il legislatore europeo riconosce a ciascun lavoratore il diritto a quattro mesi di congedo parentale, anche questi retribuiti o indennizzati, da utilizzare, anche con modalità flessibili, prima che il bambino raggiunga l’età di otto anni. Con una duplice precisazione: due mesi di congedo non possono essere trasferiti e i datori di lavoro, previa consultazione, sono autorizzati a rinviare la concessione del congedo parentale se chiesto in un momento in cui potrebbe compromettere il buon funzionamento dell’organizzazione aziendale. Diversamente, poi, dal congedo di paternità, quello parentale potrà essere subordinato a una determinata anzianità lavorativa o di servizio (Art. 5, Dir. UE 2019/1158).

Per i lavoratori che prestano assistenza a un familiare bisognoso di sostegno per le gravi condizioni di salute, la Direttiva assicura il diritto a fruire di un congedo di cinque giorni lavorativi l’anno (Art. 6, Dir. UE 2019/1158).

Infine, la Direttiva si occupa anche del lavoro flessibile, definito come possibilità per i lavoratori di adattare l’organizzazione della vita professionale ai bisogni privati, anche mediante il ricorso al lavoro a distanza, oppure a calendari di lavoro flessibili o alla riduzione dell’orario di lavoro.

Rispetto a questo “istituto”, la Direttiva chiede agli Stati di adottare le misure necessarie affinché sia assicurato ai lavoratori che prestano assistenza a figli di età non superiore a otto anni il diritto di chiedere orari di lavoro flessibili. I datori, in questo caso, avranno però solo l’obbligo di esaminare la richiesta dei lavoratori, potendo respingerla o rinviarla ad un momento successivo. Ma, si badi, il rifiuto e il rinvio dovranno essere motivati.

Ultimo, ma non per importanza, la Direttiva vieta ogni forma di discriminazione o trattamento meno favorevole verso coloro che fruiscono dei congedi, imponendo agli Stati membri di adottare un corredo sanzionatorio effettivo, proporzionato e dissuasivo da applicare in caso di violazione delle sue prescrizioni.

Se queste sono le novità europee, cosa potrà accadere in Italia?

Innanzitutto, come in ogni Stato membro, dovranno essere recepite le nuove disposizioni europee entro il 2 agosto 2022 anche se, negli ultimi anni, il legislatore italiano era già intervenuto su molti istituti per favorire una diversa ripartizione delle responsabilità familiari e far crescere l’occupazione femminile.

Per esempio, in via sperimentale per l’anno 2019, è stato riconosciuto al padre-lavoratore il diritto ad un congedo obbligatorio di cinque giornate interamente retribuite da fruire alla nascita del figlio (si veda, l’Art. 4, comma 24, L. 92/2012), mentre esiste da molti più anni il congedo di paternità che, però, spetta al padre in alternativa alla madre e soltanto in alcune ipotesi, come l’abbandono del figlio (si veda, l’Art. 28, D.lgs. 151/2001).

Ai padri, la legge italiana già riconosce anche il diritto autonomo al congedo parentale, per un periodo massimo di 6 mesi, innalzabile a 10 in caso di genitore solo, le cui modalità di fruizione e il relativo trattamento economico sono identiche a quelle previste in favore della lavoratrice madre (cfr. Art. 32-34, D.lgs. 151/2001).

Rispetto, invece, all’assistenza alle persone disabili, in Italia è consentito, ad esempio, il ricorso al congedo straordinario (Art. 42, D.lgs. 151/2001) o la fruizione dei c.d. permessi ex L. 104/1992: per questo, forse, il recepimento della Direttiva potrebbe essere l’occasione per mettere ordine a una materia “disseminata” nei più disparati provvedimenti, il tutto a discapito della chiarezza e della semplificazione da anni auspicata dalle imprese.

Infine, il c.d. lavoro-agile è legge da due anni (L. 81/2017) e ha già dato ottimi risultati in termini di aumento della produttività e di riduzione dell’assenteismo, consentendo al lavoratore di conciliare le esigenze lavorative con quelle personali. Tuttavia, alcune regole nazionali sullo smart-working sembrano ora non del tutto in linea con le novità europee. Infatti, una norma come quella introdotta da gennaio 2019, che riconosce priorità d’accesso al lavoro agile alle lavoratrici madri, parrebbe poco compatibile con le previsioni della Direttiva, per cui non sarebbe a questo punto sbagliato “riscrivere alcune regole del gioco”.

Nei prossimi anni, si vedranno quali effetti concreti avrà avuto la Direttiva sul mercato del lavoro dei differenti Paesi europei. Nel frattempo, sembra corretto chiedersi quanto la parità di genere possa essere conseguita (solo) con interventi normativi e quanto, invece, non sia il risultato di un percorso, anche culturale, in grado di valorizzare e stimolare la crescita delle competenze e delle capacità professionali sia delle donne che degli uomini.

(Nel mondo del lavoro, infatti, le qualità professionali dovrebbe aver uno “peso specifico” maggiore rispetto all’appartenenza a qualsiasi genere).

 

Testata: DataManager Work 4.0

di  Paola Gobbi

Il Garante lo ha definito con Provvedimento n. 146 pubblicato in G.U. lo scorso 29 luglio 2019.

 La corsa all’adeguamento al GDPR e la necessità di far sopravvivere i precedenti capisaldi del legittimo trattamento hanno trovato un punto di incontro nel Provvedimento del Garante relativo al trattamento dei dati particolari in ambito lavorativo ed associativo nonché dei dati genetici.

Il Garante Privacy Italiano, sulla scia delle previsioni del GDPR e del D.Lgs.101/2018, ha ritenuto opportuno riprendere il contenuto delle Autorizzazioni Generali per il trattamento dei dati particolari, introducendo, però, alcune limitazioni.

In esito alle consultazioni con le associazioni di categoria, con le organizzazioni rappresentative dei settori di riferimento e dei soggetti interessati, il Garante ha emanato il citato Provvedimento 146/2019 che prevede alcuni importanti elementi di novità.

Il Provvedimento, che diviene l’unico vademecum applicabile, riguarda il trattamento di categorie particolari di dati nei rapporti di lavoro; il trattamento degli stessi dati da parte degli organismi di tipo associativo, delle fondazioni, delle chiese e associazioni o comunità religiose, così come da parte degli investigatori privati; nonché il trattamento dei dati genetici e il trattamento effettuato per scopi di ricerca scientifica.

In particolare, sulla base di un processo di adattamento alle nuove regole del GDPR, il Garante definisce ora un ambito più ampio di operatività, stabilendo che in presenza di un dato personale in grado di identificare una persona fisica e di un rapporto di lavoro (subordinato, autonomo, libero-professionale di amministrazione o collaborazione, ecc.) trovano sempre applicazione le prescrizioni del provvedimento. È specificato, infatti, che le prescrizioni del Provvedimento valgono nei confronti di tutti coloro che, a vario titolo (titolare/responsabile del trattamento), effettuano trattamenti per finalità d’instaurazione, gestione ed estinzione del rapporto di lavoro (agenzie per il lavoro, imprese, enti, associazioni, organismi, etc.).

Le finalità del trattamento dei dati, poi, dovranno rientrate nell’ambito dell’instaurazione, gestione ed estinzione del rapporto di lavoro e della difesa di un diritto in sede giudiziaria, in sede amministrativa o nelle procedure di arbitrato e di conciliazione.

Attenzione, però, che sono previste rigorose procedure per il trattamento di tali dati: ove, infatti, vi sia necessità che documenti che contengono categorie particolari di dati siano trasmessi a più funzioni della medesima organizzazione in ragione delle varie competenze, dovranno essere trasmessi solo i dati strettamente necessari. Inoltre, dovranno essere adottate modalità di trasmissione che garantiscano la ricezione esclusivamente da parte degli uffici interessati e del solo personale autorizzato.

Ma non solo: da tale quadro di intervento sono state escluse alcune precedenti Autorizzazioni Generali, che, pertanto, hanno definitivamente cessato di produrre i propri effetti quali quelle (i) sul trattamento dei dati giudiziari da parte di privati, enti pubblici economici e soggetti pubblici, (ii) sul trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, (iii) sul trattamento dei dati sensibili da parte dei liberi professionisti e (iv) sul trattamento dei dati sensibili da parte di diverse categorie di titolari.

A questo punto occorrerà, sulla base del principio comunitario di privacy by design, rivedere la procedure interne delle strutture organizzative e valutare se i processi in atto superano il vaglio di conformità alle nuove regole del luglio 2019 o, ferme ad una impostazione precedente e transitoria, debbano essere riviste ed attualizzate.

Avv. Paola Gobbi, Partner – UNIOLEX Stucchi & Partners – www.uniolex.com

Testata: Le Fonti Legal

UnioLex, con i partners Olimpio Stucchi e Paola Gobbi, ha assistito con successo Mondialpol nella causa promossa da Sagi Holding (Scarpe&Scarpe), assistita da Weigmann & Associati, davanti alla Corte di Cassazione. La causa era stata promossa contro Mondialpol, lamentando l’ammanco di oltre 2 milioni di euro nei trasporti dei valori eseguiti fra il 2001 ed il 2006 da diversi punti vendita della società alle banche destinatarie, a causa di appropriazioni attribuite a personale Mondialpol.