_Dirigente: recedere o non recedere? Il dilemma al tempo del “blocco dei licenziamenti”.

di Olimpio Stucchi– Managing Partner Uniolex-Stucchi&Partners

Licenziare o non licenziare un dirigente per tentare di “risanare” le casse di un’impresa? Dilemma organizzativo e gestionale che, almeno fino al prossimo 30 giugno 2021, le aziende si potranno porre di fronte al c.d. “blocco dei licenziamenti”, misura emergenziale tra le più note e discusse anche in questo secondo anno d.C. (dopo-Covid).

A questa domanda, il Tribunale di Roma ha di recente dato due risposte diverse: secondo una prima sentenza del 26 febbraio 2021 il licenziamento del dirigente sarebbe invalido perché “coperto” dal divieto. Secondo una più recente decisione depositata il 19 aprile 2021, invece, il licenziamento sarebbe valido.

Come ormai risaputo, da marzo 2020, dopo l’entrata in vigore dell’Art. 46 del Decreto Cura Italia (D.L. 18/2020), è stato imposto a tutte le aziende di non avviare procedure di licenziamento collettivo e di non intimare licenziamenti per motivi oggettivi, senza operare alcuna distinzione in base al numero dei dipendenti. Questo divieto, che inizialmente doveva operare solo per sessanta giorni, è stato via via prorogato e in parte “riscritto” nell’estate scorsa (cfr. Art. 14 del c.d. Decreto Agosto, D.L. 104/2020), introducendo alcune ipotesi escluse dal c.d. blocco.

Da ultimo, il divieto è stato confermato nella sua formulazione più ampia prima con la Legge di Bilancio per il 2021 (Legge n. 178/2020) e poi con il Decreto Sostegni dello scorso 22 marzo 2021 (D.L. 41/2021).

Fin dalla sua introduzione, il c.d. blocco dei licenziamenti ha però destato molte perplessità e interrogativi, primo tra tutti quello di riuscire ad individuare le ipotesi escluse dal novero dei casi “bloccati”. Esclusioni su cui il Tribunale di Roma, a poche settimane di distanza, si è diversamente espresso.

Nella sua prima decisione, infatti, il Tribunale di Roma ha giudicato invalido il licenziamento intimato ad un dirigente nel luglio 2020, per soppressione della posizione lavorativa, ritenendolo contrario alla norma imperativa dell’Art. 46 del c.d. Cura Italia.

Secondo il Giudicante, la ratio del c.d. blocco sarebbe quella di evitare che il danno pandemico venga “scaricato” sui lavoratori, esigenza comune anche ai dirigenti stante la maggior elasticità del regime normativo e collettivo loro applicabile e confermata dalla loro inclusione nelle tutele applicabili in caso di licenziamento collettivo.

Inoltre, a parere del Giudice, il riferimento all’Art. 3 della L. 604/1966 nella norma che istituisce il c.d. “blocco” identificherebbe la ragione impassibile di essere posta a fondamento del recesso e non l’ambito soggettivo di applicazione del divieto.

Per questi motivi, il recesso datoriale viene ritenuto atto nullo, con conseguente la reintegra del dirigente nel posto di lavoro.

Nella seconda vicenda, il Chief Operating Officer della società convenuta impugnava il licenziato intimatogli a maggio 2020 per soppressione della posizione lavorativa e ridistribuzione delle attività a lui facenti capo per riduzione dei costi aziendali, ritenendolo anch’egli nullo per contrasto con il divieto del c.d. Cura Italia.

Impugnazione giudicata però infondata dalla sentenza capitolina del 19 aprile 2021 e per più di una ragione.

Anzitutto, per un motivo legato alla formulazione letterale del c.d. “blocco dei licenziamenti”: la norma emergenziale stabilisce, infatti, che il datore di lavoro, a prescindere dal numero dei dipendenti, non può licenziare per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’Art. 3 L. 604/1966, norma, quest’ultima, che non si applica ai dirigenti, sia per legge (si veda, l’Art. 10, L. 604/1966) sia per giurisprudenza costante.

In secondo luogo, per un motivo legato alla ratio del divieto vale a dire quella di tutelare l’occupazione attraverso la possibilità per le aziende di avvalersi degli ammortizzatori sociali, consentendo alle stesse di contenere i costi del lavoro pur a fronte del c.d. blocco dei licenziamenti. In poche parole, ponendo i costi del lavoro a carico della collettività e non delle aziende. Nel caso dei dirigenti, osserva il Giudice romano, il binomio divieto di licenziamento/costo a carico della collettività non è però sostenibile perché per i dirigenti il ricorso agli ammortizzatori sociali non è consentito in costanza di rapporto. Estendere, allora, il divieto di licenziamento anche ai dirigenti significherebbe porre a carico solo delle aziende il costo di tale scelta, anche in presenza di motivi che ne consentirebbero il recesso per motivo economico, così violando il principio costituzionale di libertà economica.

In terzo luogo, perché la diversità tra l’ipotesi del licenziamento individuale e quella del licenziamento collettivo giustifica una diversità di trattamento: secondo il Giudice della sentenza del 19 aprile 2021, non è irragionevole assicurare tutela anche ai dirigenti in caso di licenziamento collettivo ed escluderla in caso di licenziamento individuale proprio in ragione della diversità che contraddistingue le due fattispecie.

Da ultimo, il licenziamento intimato al COO della seconda vicenda capitolina in quanto motivato dall’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, di sopprimere una figura dirigenziale in attuazione di un effettivo riassetto societario poteva considerarsi anche giustificato, secondo la nozione richiesta dalle norme collettive. Secondo il Tribunale romano, infatti, la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non deve coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa la prosecuzione, dato che i principi di buona fede e correttezza devono essere coordinati con quelli di libertà dell’iniziativa economica che sarebbero negati se, di fronte di razionali e non pretestuose riorganizzazioni aziendali, venisse impedito all’imprenditore di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare ai più alti livelli di gestione dell’impresa.

La seconda sentenza del Tribunale di Roma rappresenta, pertanto, un favorevole precedente per quanti, già nelle prossime settimane, di fronte ad una reale esigenza riorganizzativa, decidessero di voler intimare il licenziamento ad un dirigente per motivo economico, ricordando però i rischi correlati sia all’esistenza di un differente precedente, sia all’onere della prova del motivo organizzativo a loro carico.