_Dirigente licenziato: addio termine di impugnazione?

a cura dell’avv. Paola Gobbi

 Il regime di decadenza per l’impugnazione del licenziamento previsto dall’art. 6 L. 604/1966 non si applica al dirigente che agisce in giudizio per ottenere l’indennità supplementare a causa dell’ingiustificatezza del licenziamento.

Ad affermarlo è stata la Corte di Cassazione lo scorso 13 gennaio 2020 che, nella sua decisione (sentenza n. 395/2020), ha accolto la tesi del dirigente e cassato la precedetene sentenza della Corte d’Appello di Firenze ove si era ritenuto tardivo il ricorso depositato 182 giorni dopo l’impugnazione stragiudiziale.

Per arrivare a tale conclusione, la Cassazione analizza l’art. 32 della Legge n. 183/2010 (più nota come “Collegato Lavoro”) il quale ha esteso a tutte le ipotesi di invalidità del licenziamento il termine decadenziale di 60 giorni dalla cessazione del rapporto per l’impugnazione stragiudiziale e l’ulteriore termine di 180 giorni per la proposizione del ricorso giudiziale.

In particolare, prosegue la sentenza, nella nozione di “invalidità” rientrerebbero i casi di incapacità di un atto privato, contrario ad una norma, di produrre effetti conformi alla sua funzione economico sociale, per cui il licenziamento invalido sarebbe solo quello affetto da vizi che rendono il recesso datoriale «inidoneo ad acquisire pieno ed inattaccabile valore giuridico». Pertanto, mentre tale invalidità ricorre nei casi di licenziamento nullo individuati dall’art. 18 comma 1 St. lav., sanzionati con la reintegra ed estesi anche ai dirigenti dalla Legge n. 92/2012, più dubbi sono, invece, i casi di mera ingiustificatezza del licenziamento del dirigente, dove non si contesta la validità ed efficacia del recesso, ma la sua arbitrarietà.

Di fronte ad tale bivio, la Cassazione osserva che il regime decadenziale costituisce norma eccezionale insuscettibile di applicazione analogica. Pertanto, non sarebbe corretto ricondurre nella nozione di invalidità l’ipotesi dell’“ingiustificatezza” data la sua origine convenzionale e la tutela meramente risarcitoria per essa prevista dalla contrattazione collettiva e non dalla legge.

Secondo i Supremi Giudici, resterebbe, quindi, esclusa dal regime decadenziale di cui all’art. 32 del Collegato Lavoro la domanda avente ad oggetto l’accertamento della illegittimità del recesso per ingiustificatezza del licenziamento, con condanna del datore alla corresponsione dell’indennità supplementare. Al contrario, il doppio termine di decadenza del Collegato Lavoro sarebbe applicabile al dirigente che impugni il recesso per ottenere la reintegra, lamentando la nullità del licenziamento perché discriminatorio oppure perché determinato da motivo illecito oppure per un’altra della cause indicate dall’art. 18 comma 1 St.lav.

Alla luce dell’orientamento della Cassazione, è opportuno che datori di lavoro e dirigenti prestino attenzione al contenuto dell’impugnazione, poiché il diritto alla reintegra è soggetto ad un ristretto termine di decadenza, mentre quello all’indennità supplementare si prescrive nel più lungo termine di 5 anni dalla cessazione del rapporto.