_Licenziamento e mail: siamo pronti alla rivoluzione digitale?

Licenziamento e mail: siamo pronti alla rivoluzione digitale?
di Andrea Savoia e Marilena Cartabia

 

In un mondo sempre più veloce e digitale, dove le notizie e le comunicazioni avvengono in “presa diretta” e le distanze diventano relative, una domanda ormai ricorrente è quale possa essere il rapporto tra le nuove forme di comunicazione digitale e la cessazione del rapporto di lavoro.
Domanda con una risposta non scontata se si leggono le ultimissime pronunzie della Cassazione e di alcuni Tribunali.

Solo pochissimi giorni fa, infatti, la Cassazione (sentenza n. 5523 dell’8 marzo 2018) ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad un dirigente per giusta causa, ritenendo di non poter attribuire valenza probatoria alle mails prodotte dal datore a sostegno dell’addebito mosso all’ex dipendente.
Nel caso specifico, la società aveva licenziato il dirigente perché, secondo le indagini aziendali, si era reso responsabile di irregolarità nell’applicazione della procedura di c.d. rivalutazione di magazzino, consentendo l’accredito di somme non dovute in favore di altre società.
Secondo la Corte Suprema, però, il datore non era stato in grado di dimostrare con certezza né i fatti addebitati al proprio ex responsabile né il suo coinvolgimento nelle irregolarità, dato che a sostegno delle “accuse” erano state offerte diverse mails aziendali e le testimonianze di soggetti ritenuti inattendibili perché a loro volta coinvolti nella vicenda.
In particolare, secondo la Cassazione, le mails “semplici” non hanno la medesima valenza probatoria della scrittura privata (Art. 2702 c.c.) perché sia l’autore sia il loro contenuto possono essere alterati e modificati: solo la mail certificata (la c.d. PEC) offre, infatti, una garanzia di integrità e immodificabilità. Le mails tradizionali, quindi, sono liberamente valutabili dal giudice e, nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva escluso di poter riferire con certezza le mails prodotte al dirigente licenziato.

A conclusioni (in apparenza) diverse era invece giunta sempre la Cassazione (sentenza n. 29753 del 12 dicembre 2017) ove, in un caso relativo al licenziamento di un pilota aereo al termine del periodo di prova, il recesso del datore era stato ritenuto valido ed efficace anche se comunicato a mezzo mail.
In particolare, quanto alla modalità di comunicazione del licenziamento scelta dal datore, la Corte ne ha ammesso la validità, non essendoci alcuna norma di legge che impone la forma scritta per il licenziamento intimato prima del superamento del periodo di prova.
Inoltre, secondo la Corte, il requisito della forma scritta può ritenersi assolto con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità: quindi, anche con una mail.
Decisione, quest’ultima, che pare, peraltro, confermare alcuni precedenti ove si era già ammessa la validità del licenziamento comunicato con un SMS o su una chat di WhatsApp.

Entrambe le sentenze hanno portata innovativa e sembrano fare un passo in avanti verso l’adeguamento tecnologico.
La prima, perché facendo chiarezza sul valore probatorio delle mails tradizionali, suggerisce alle aziende di valutare con attenzione, sin dal momento in cui decidono di irrogare un licenziamento, quali prove offrire a sostegno dei fatti addebitati.
La seconda, perché riconoscendo la legittimità del licenziamento comunicato in via telematica parrebbe consentire ai datori di poter “sfruttare” d’ora in avanti anche il canale delle nuove tecnologie per trasmettere, in modo molto rapido, comunicazioni relative alla cessazione del rapporto di lavoro.