Il Decreto Legge “Cura Italia” ha messo in campo molte misure per fronteggiare l’emergenza creata dalla diffusione del virus COVID-19. Quella che più ha sorpreso le aziende è stata l’introduzione di un generale divieto di licenziamento per motivi economici. L’Art. 46 è conciso: dal 17 marzo 2020 e per i successivi 60 giorni non possono essere avviate le procedure di licenziamento collettivo e quelle avviate dopo il 23 febbraio 2020 sono sospese. Inoltre, sempre per 60 giorni, è vietato a tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero di occupati, procedere al licenziamento individuale per ragioni economiche. La norma non dispone altro e, al momento, non sono stati forniti ulteriori chiarimenti o indicazioni operative né dal Ministero del Lavoro né dagli Enti. Quindi, ad una prima lettura: Cosa si può o cosa non si può fare? Il divieto di licenziamento individuale per motivi oggettivi vale per tutte le aziende e per tutti i dipendenti: non è stata posta alcuna distinzione in ragione della data di assunzione del personale. Si tratta, dunque, di una regola che vale sia per i c.d. “vecchi assunti” (già in forza prima del 7 marzo 2015) che per i “nuovi assunti” (assunti dopo il 7 marzo 2015). Parrebbe consentito il licenziamento per motivo economico del dirigente perché non riconducibile alla disciplina dell’Art. 3, L. 604/1966: ogni situazione andrà, però, vagliata con attenzione e in via prudenziale anche perché il dirigente potrebbe, in futuro, impugnare il licenziamento invocandone la nullità per ottenere maggiori tutele, non solo indennitarie. L’Art. 18, comma 1 St. lav. può essere infatti applicato anche al rapporto di lavoro del dirigente; La norma non indica quale regime sanzionatorio applicare al licenziamento intimato in violazione del divieto temporaneo: l’ipotesi da ritenere più probabile è che il recesso sia considerato radicalmente nullo, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria, sia per i c.d. vecchi assunti (ai sensi dell’Art. 18, comma 1 St. lav.) che per i c.d. nuovi assunti (ai sensi dell’Art. 2, D.lgs. 23/2015); Con riferimento ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, qualora i datori di lavoro avessero avviato prima del 17 marzo 2020 la procedura del tentativo obbligatorio di conciliazione prevista dall’Art. 7, L. n. 604/1966, è temporaneamente sospesa: infatti, causa della diffusione del virus, gli incontri davanti alle competenti ITL sono stati sospesi sino al 4 aprile 2020 (INL, nota 10.03.2020, prot. n. 2117); E’ consentito intimare il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, in caso di gravi infrazioni e violazioni disciplinari punite dal CCNL con la misura espulsiva. Occorre, però, ricordare che fino al 30 Aprile 2020 l’assenza dal posto di lavoro di uno dei genitori conviventi di una persona con disabilità non può costituire giusta causa di licenziamento se preventivamente comunicata e motivata dall’impossibilità di accudire la persona disabile a seguito della sospensione delle attività dei Centri socio assistenziali disposta dal medesimo “CuraItalia” (si veda: Art. 47, comma 2, D.L. 18/2020); Parrebbe consentita anche la risoluzione consensuale del rapporto, ma l’attuale limitata apertura al pubblico delle ITL o delle altre c.d. “sedi protette” ex Art. 2113 c.c. renderà più complessa la sottoscrizione dei relativi accordi, alternativi alla procedura di trasmissione telematica della comunicazione di risoluzione consensuale del rapporto imposta dall’Art. 26, D.lgs. 151/2015. Ad oggi, inoltre, a seguito delle misure di contenimento del contagio da CoronaVirus, è stato reso disponibile on line, sul sito dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, (solo) il modulo di richiesta “a distanza” del provvedimento di convalida delle dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro per le lavoratrici madri e i lavoratori padri di figli fino a tre anni di età (ex Art. 55 D.Lgs. 151/2001). Ammesso anche il licenziamento per superamento del periodo di comporto, in quanto ipotesi speciale da ricondursi alla previsione dell’Art. 2110 c.c. e non a quella dell’Art. 3, L. 604/1966 indicata dalla norma del Decreto Legge. Possibile anche licenziare per mancato superamento del periodo di prova perché anch’essa ipotesi regolata dall’Art. 2096 c.c. e non dall’Art. 3, L. 604/1966. E’ tuttavia raccomandabile, per entrambe le ipotesi, procedere ad un’attenta valutazione di ogni singolo caso dal momento che l’attuale situazione di emergenza potrebbe aver causato, da un lato, un’assenza per c.d. sorveglianza sanitaria o permanenza domiciliare fiduciaria che vanno escluse dal periodo di comporto, oppure una sospensione e/o riduzione delle attività produttiva tale da non consentire l’esatto o il completo espletamento del periodo di prova; Ammessa anche la risoluzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo perché ipotesi non equiparabile al licenziamento per ragioni economiche; Le aziende che intendevano avviare la procedura di licenziamento collettivo dovranno attendere sessanta giorni, senza che vi sia una distinzione riconducibile alla motivazione dell’esubero di personale (se connessa e/o riconducibile all’attuale emergenza sanitaria o meno): il “divieto” di avviare licenziamenti collettivi tutela tutti i lavoratori in forza presso il datore di lavoro, inclusi i dirigenti (il tenore dell’Art. 5, L. 223/1991 è chiaro), con la sola eccezione dei dipendenti assunti a tempo determinato, perché esclusi dalle procedure di licenziamento collettivo; Le aziende che avevano già avviato le procedure di licenziamento collettivo e siglato accordi sui criteri in base ai quali procedere al licenziamento del personale in esubero, non potranno inviare le lettere di licenziamento individuale. Altre, invece, si potrebbero trovare a dover scegliere tra due opzioni: o la revoca della procedura, quando un accordo sindacale appaia la soluzione preferibile quale esito della procedura oppure una proroga pattizia dei termini della procedure attraverso un accordo con le organizzazioni sindacali per la sospensione della procedura per lo stesso termine di 60 giorni previsto dal decreto cd. «Cura Italia», ipotesi non prevista dalla legge ma di maggior tutela anche dei lavoratori. Restano, infine, alcune perplessità sulla legittimità costituzionale del divieto appena introdotto perché l’organizzazione del lavoro è una delle prerogative rimesse all’insindacabile scelta dell’impresa, ex Art. 41 Cost.. Inoltre, la norma genera un (evidente) squilibrio nel sinallagma contrattuale, dal momento che si vieta, ad una sola delle due parti contrattuali, di recedere dal contratto, come è invece garantito dal Codice Civile. Si tratta, tuttavia, di questioni che potranno essere discusse, in un futuro prossimo, nelle Aule dei Tribunali, ma che non “cambiano” oggi la portata pratica del divieto. Divieto che potrebbe anche non essere confermato in sede di conversione in Legge del Decreto, per cui si raccomanda di prestare la massima attenzione alle regole in vigore nel momento in cui ci si troverà costretti a licenziare il personale in esubero.