di Olimpio Stucchi e Marilena Cartabia – Uniolex – Stucchi&Partners La conversione in Legge del c.d. Decreto Liquidità (D.L. 23/2020) ha cambiato solo in parte le regole che, dal 14 aprile scorso, interessano i prestiti garantiti da Sace S.p.a. i quali, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbero assicurare liquidità alle imprese italiane colpite dall’epidemia COVID-19. Le nuove previsioni, in vigore dal 6 giugno 2020, hanno interessato – in breve: la platea dei soggetti che potranno chiedere il finanziamento garantito, ora estesa alle associazioni professionali e società tra professionisti, mentre verranno escluse le società che controllano o sono controllate (direttamente o indirettamente) da società residenti in Paesi non cooperativi ai fini fiscali (Art. 1, D.L. 23/2020); alcune delle condizioni di erogazione del prestito, per cui si chiederà all’impresa che beneficia della garanzia, o ad ogni altra impresa italiana del medesimo gruppo, di non approvare la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni nel corso del 2020, così come si chiederà di destinare il finanziamento alla copertura dei costi tipizzati (ad esempio, costi del personale oppure canoni di locazione o di affitto di ramo d’azienda), con obbligo per l’impresa di non delocalizzare le produzioni (Art. 1, D.L. 23/2020); infine, si è introdotto l’obbligo di integrare la richiesta di finanziamento con una dichiarazione rilasciata dal legale rappresentante dell’impresa, sotto la sua responsabilità, ove si dovrà dar conto di diverse circostanza tra cui, ad esempio, che l’attività di impresa è stata limitata o interrotta dall’emergenza epidemiologica o dagli effetti derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse l’emergenza, che il finanziamento è richiesto per sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che sono localizzate in Italia e, infine, di non aver riportato condanne definitive per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione fiscale (Art. 1bis, D.L. 23/2020). Quello che, però, non è stato né toccato né meglio precisato o dettagliato, nonostante le molte perplessità già sollevate, è la previsione secondo cui: “L’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali” (cfr. Art. 1, comma 2, lett. l, D.L. 23/2020). La norma è rimasta sintetica e non sembra aver risposto alla domanda delle imprese: cosa significa? Come nelle scorse settimane, allora, si possono solo ipotizzare delle possibili chiavi di lettura di questa regola. L’impegno chiesto alle aziende dovrebbe riguardare i livelli occupazionali “futuri”, successivi l’erogazione del finanziamento garantito da Sace S.p.a. e che potrà avere una durata massima di sei anni; In sede di istruttoria, ogni azienda che richiederà le garanzie dovrà allegare (almeno) una dichiarazione coerente con la condizione di impegno alla negoziazione dei livelli occupazionali: il silenzio tenuto anche in sede di conversione consente di presumere che non sarà obbligatorio allegare sin da subito un accordo sindacale. Conclusione che potrebbe ritenersi avvalorata sia dalla mancata modifica delle procedure previste per l’erogazione del finanziamento, sia dal mancato riferimento ad alcun accordo firmato con il sindacato d tra le condizioni a indicare nella dichiarazione “integrativa” chiesta al legale rappresentante dell’impresa (cfr. Art. 1bis, D.L. 23/2020); Al soggetto erogatore il finanziamento non dovrebbe spettare il compito di verificare se l’impresa, ottenuto il prestito, rispetti o meno l’impegno di gestire i livelli occupazionali con accordi sindacali: anche la verifica delle elementi attestati nella dichiarazione “integrativa” sarà per l’erogatore solo di carattere formale, per cui spetterà o ai sindacati o ai lavoratori denunziare l’omesso rispetto dell’impegno, i primi invocando la tutela per la repressione della condotta antisindacale ex Art. 28 st. lav., i secondi chiedendo, invece, di accertare la nullità dell’atto datoriale unilaterale e non negoziato, sebbene la norma potrebbe non considerarsi imperativa; Gli accordi sindacali con cui saranno gestiti i livelli occupazionali potranno essere conclusi con i sindacati territoriali, oppure anche con le RSA/RSU: il mancato riferimento ad alcun indice di rappresentatività dei sindacati potenzialmente interessati a sottoscrivere questi accordi, potrà forse essere colmato con la modifica o l’integrazione dell’attuale Testio Unico sulla rappresentanza; Dovrà passare per l’accordo sindacale ogni intervento di riduzione dei livelli occupazionali in essere al momento della richiesta del nuovo credito con la garanzia di Sace S.p.a.: non manca chi già ipotizza, ad esempio, che il vincolo imposto dal Decreto Liquidità renderà obbligatorio “chiudere” con un accordo sindacale sia le procedure di licenziamento collettivo (a differenza di quanto previsto dalla L. 223/1991) sia la procedura di informazione – consultazione previamente attivata dalle organizzazioni sindacali in caso di trasferimento di ramo d’azienda (Art. 47, L. 428/1990); Perplessità sull’operatività della nuova condizione potranno interessare anche le ipotesi di cambio appalto, operazione potenzialmente in grado di incidere sul numero degli occupati di un’impresa; La testuale dicitura “livelli occupazionali”, potendo riferirsi ad una dimensione solo quantitativa della forza lavoro, potrebbe far sì che gli accordi non interessino i rapporti di lavoro a termine o in somministrazione, in quanto estranei alla stabile struttura occupazionale di ogni azienda; Ugualmente non parrebbe riguardare interventi di tipo individuale, come i licenziamenti per gmo, poiché sino ad oggi estranei ad ogni logica di negoziato sindacale e già peraltro coperti da apposita normativa previgente. In buona sostanza, anche dopo la conversione in Legge, il “cavillo” introdotto dal Decreto Liquidità lascia presumere che, nelle prossime settimane, le imprese che riusciranno ad ottenere il finanziamento garantito si vedranno, però, costrette a devolvere parte della loro libertà di impresa alla co-gestione sindacale. Contingenza che, tuttavia, non sempre genera risultati proficui o di lungo termine, considerata anche l’alta conflittualità che da anni ormai caratterizza i tavoli sindacali.