Riflessioni sul licenziamento ritorsivo e licenziamento per giustificato motivo oggettivo di Sharon Reilly e Silvia Fumagalli Con una recente sentenza (n. 9468 del 4 aprile 2019), la Corte di Cassazione ha avuto l’occasione di fare il punto tanto sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo e i suoi requisiti, che sul licenziamento per motivo ritorsivo, molto spesso oggi invocato per ottenere la tutela reintegratoria. La Cassazione, in particolare, è stata chiamata a pronunciarsi sulla sentenza della Corte di Appello di Bari che aveva ritenuto ritorsivo il licenziamento intimato ad un lavoratore, perchè l’affermata riorganizzazione per soppressione del posto era stata avviata dopo la revoca di un primo licenziamento al dipendente e perché il datore di lavoro non aveva dimostrato che il riassetto era diretto a fronteggiare effettive situazioni sfavorevoli non contingenti e idonee a giustificare un piano di riorganizzazione aziendale. Di diverso avviso la Suprema Corte che, innanzitutto, consolida l’orientamento giurisprudenziale per il quale il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo anche senza crisi aziendale, se le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività determinano un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione di lavoro. La Corte supera così, ancora una volta, l’orientamento fino a poco tempo fa maggioritario, per il quale il licenziamento per giustificato motivo oggettivo doveva avere come presupposto l’andamento economico negativo dell’azienda da provarsi dal datore di lavoro. La Cassazione conferma, inoltre, che ai fini della nullità del licenziamento, il motivo ritorsivo, che si sostanzia in un motivo illecito ex art. 1345 c.c., deve essere stato il motivo determinante ed esclusivo, per il quale il datore di lavoro ha intimato il licenziamento. In altri termini, la nullità del licenziamento ex art. 1345 c.c. è esclusa quando sussiste un giustificato motivo oggettivo di licenziamento allegato e provato dal datore di lavoro. Il motivo illecito, infatti, può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, dovendo costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. Il Giudice, in ogni caso, dapprima deve verificare la sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro e, solo in caso di mancata prova o insussistenza dello stesso, può procedere a verificare se il licenziamento ha carattere illecito, come sostenuto dal lavoratore, non potendo procedere a nessun giudizio di comparazione o di bilanciamento tra le circostanze allegate dal lavoratore a sostegno del motivo illecito e i fattori prospettati dal datore di lavoro. Solo in assenza del motivo addotto dal datore di lavoro e in presenza del motivo illecito determinante, il lavoratore ha diritto alla massima tutela prevista dall’art. 18 Stat. Lav.. Negli altri casi, invece, il licenziamento sarà valido e non avrà conseguenze per il datore.