_Tutele “crescenti”, addio ?

Tutele “crescenti”, addio ?

di Andrea Savoia e Silvia Fumagalli

Dopo alcune settimane di trepidante attesa, lo scorso 8 novembre, la Corte Costituzionale ha “svelato” perché il criterio utilizzato per determinare l’indennità risarcitoria riconosciuta in caso di licenziamento ingiustificato del dipendente assunto in regime di c.d. tutele crescenti è contraria ai principi della Carta Costituzionale.

Secondo la Corte due sono i principi costituzionali violati dalla previsione dell’Art. 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015 laddove riconosce al dipendente, licenziato in mancanza di valido motivo, un’indennità crescente in base all’anzianità aziendale: il principio di uguaglianza e il principio di ragionevolezza.

Rispetto al principio di uguaglianza, per la Corte, la regola prevista dal citato articolo determina un’ingiustificata omologazione di situazione diverse vietata dall’Art. 3 della Costituzione, perché la misura dell’indennità è rigidamente predeterminata dal legislatore (due mensilità per ogni anno di servizio) ed è uniforme per tutti i lavoratori con uguale anzianità.

Senonché, dal momento che un licenziamento ingiustificato può provocare pregiudizi differenti a seconda del caso concreto, parametrare rigidamente l’indennità risarcitoria solo all’anzianità di servizio si traduce in un’indebita parificazione di situazione diverse.

Secondo la Corte, è, invece, compito del Giudice quello di determinare l’indennità spettante al dipendente licenziato, seppure entro un minimo e un massimo predeterminato dalla legge, non solo in base al criterio dell’anzianità di servizio, ma anche in base ad altri criteri che devono essere valutati in modo discrezionale e prudente per garantire una calibrata modulazione del risarcimento spettante.

Quanto alla violazione del principio di ragionevolezza, secondo la Consulta, da un lato, l’indennità prevista dal D.Lgs. 23/2015, per come parametrata dal legislatore, non consente al lavoratore licenziato di percepire un ristoro adeguato per il pregiudizio subito e, da altro lato, non rappresenta un’idonea dissuasione per il datore dal licenziare illegittimamente. Ciò, soprattutto, nei casi di anzianità di servizio non elevata.

A detta dei giudici della Corte Costituzionale, allora, i due interessi contrapposti che la norma di legge avrebbe dovuto bilanciare (libertà di impresa e tutela del lavoratore) non risultano composti in modo equilibrato perché l’interesse del lavoratore risulta compresso in misura eccessiva, così violando il principio di ragionevolezza.

Infine, la norma del decreto “Tutele crescenti” si pone in contrasto con le fonti di diritto internazionale e, in particolare, con la previsione della Carta sociale europea che sancisce il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo a ricevere “un congruo indennizzo o altra adeguata ripartizione”. Poiché la Legge n. 183/2014 aveva demandato al Governo di “riformare” la disciplina del licenziamento per i lavoratori assunti con c.d. contratto a tutele crescenti nel rispetto del diritto europeo e internazionale, il riconoscimento al dipendente di un’indennità non congrua e non dissuasiva lede le previsioni della Carta sociale, come interpretata anche dal Comitato europeo dei diritti sociali.

In conclusione, sarà ora compito dei Giudici riconoscere, volta per volta, un’indennità che tenga conto non solo dell’anzianità di servizio ma anche di altri criteri desumibili dalla normativa sui licenziamenti (ad esempio, numero dei dipendenti occupati e dimensioni dell’attività economica), comunque nel limite minimo e massimo previsto dalla legge.

Non resta, quindi, che vedere come i Tribunali decideranno di declinare la “nuova” indennità risarcitoria, per comprendere quali parametri e in che misura saranno ponderati dai giudici. Del resto… “del doman non c’è certezza”.